Innamorarsi della Bellezza

Materialismo o spiritualità?

Scienza o arte?

Forma o sostanza?

Io m’innamoro ogni giorno della bellezza. E la sera del 6 dicembre, al LAC di Lugano, mi sono innamorata della bellezza dell’arte di Wolfgang Laib e della bellezza dei racconti di scienza di Silvia Bencivelli.

Due medici che hanno abbandonato la medicina per rincorrere la bellezza. Uno la crea con piramidi e forme di polline, cera e latte. L’altra racconta la scienza sui giornali, in tv, e con lei scopri che la scienza è arte, bellezza.

Chi l’avrebbe mai detto.

La cornice del mio innamoramento è la rassegna “La scienza a regola d’arte”, promossa dal MASI e IBSA Foundation for Scientific Research.

Entrambi medici di formazione, dicevamo, Wolfgang e Silvia.

Il primo decide di lasciare la scienza in favore dell’arte, la seconda, invece, trasforma il racconto della scienza in una forma d’arte.

Wolfgang riconosce una cesura tra il mondo materialistico della scienza e quello umanistico dell’arte, e in questa cesura vede uno dei mali dell’epoca moderna, dal Settecento in avanti. E auspica che il ricongiungimento tra i due mondi avvenga presto, ritenendo la nostra epoca pronta al grande cambiamento.

Silvia questa cesura non la vede, vede invece moltissima arte e narrazione nella scienza moderna. La scienza utilizza infatti i principi estetici dominanti nella nostra società. La scienza è molto vicina alla bellezza: si pensi alla bellezza formale e sostanziale di un’equazione.

L’uomo che non ha paura di creare bellezza con polline, cera d’api e latte, crede sia peccato cercare di etichettare l’arte.

La scienza etichetta eccome.

Fluttua libero nel suo universo Wolfgang, grato della formazione scientifica, ma per niente pentito di non aver scelto una via di mezzo tra i mondi esplorati con la sua arte e il suo passato, per esempio diventando un medico naturopata. Compromesso inaccettabile per l’uomo che raccoglie il polline con dovizia certosina, senza farsi aiutare da nessun assistente, perché l’atto artistico nasce proprio dalla raccolta della materia prima delle sue opere.

Ma se noi siamo la terra di Leonardo Da Vinci, dove arte e scienza dialogavano ai massimi livelli, non possiamo forse superare questa cesura nell’operosità, nella capacità materiale del bel fare che contraddistingue le eccellenze italiane sempre a ridosso tra arte e scienza, con le mani ben impegnate nel fare?

E’ di questi giorni la notizia che L’Unesco ha riconosciuto la pizza napoletana come patrimonio dell’umanità. L’Unesco ha parlato dell’arte del pizzaiolo. Non si potrebbe forse anche parlare di scienza del pizzaiolo? E se per il pizzaiolo avere le mani in pasta è l’attributo principe, non in senso figurato e denigratorio, ma nel senso del saper lavorare con maestria la materia prima, assurgendo a simbolo universale di arte e scienza, credo che questa abilità manuale possa essere l’ingrediente determinante per il nostro futuro.

Per biografia e passione, sono propensa a immaginare un nuovo rinascimento italiano che passa dal bel fare, a cavallo tra arte e scienza, sia questo bel fare nell’officina meccanica che costruisce biciclette che si trasformano in opere d’arte o nel laboratorio dove la scienza dell’organizzazione e del team building diventa arte di dare al cliente ciò che mai avrebbe immaginato di chiedere a una PMI italiana.

Rinascimento italiano che passa dal bel fare, unendo arte e scienza, a patto però di saperlo raccontare. Perché il bel fare, senza racconto è come sostanza senza forma.

E senza racconto sarà difficile tornare ad essere ciò che meritiamo di essere.

Ti auguro di innamorarti ogni giorno di bellezza. Cavalcare ogni giorno arte e scienza. Forma e sostanza. E ricercare ogni giorno il racconto di questa bellezza, anche e soprattutto nelle cose che fai.

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