Magda: una moglie in fuga.

Bianco Rosso e Verdone è il manifesto di un’epoca, quella a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, in cui il riflusso aveva già dato una svolta all’Italia, senza però farci entrare nell’era dello yuppiesmo, del socialismo craxiano più puro, come l’acqua della Procura.
Carlo Verdone ha sottolineato, ieri, con la dipartita di Irina Sanpiter, che di quel film siano rimaste ben poche persone.
E’ tristemente vero, perchè sono passati Trentasette anni, e sono tanti, e perchè alcuni erano già abbastanza avanti con l’età, dalla Sora Lella in giù.
Irina Sanpiter, però, era ancora piuttosto giovane, per l’era in cui siamo. Perché è chiaro che, se dovessimo tracciare un parallelismo, avere Sessant’anni nel 1980 sia ben diverso dall’averne oggi.
Allora, a Sessant’anni, si era anziani. Rarissime eccezioni a parte.
Ora si è più vecchi a Trenta, paradossalmente, perchè è un’età ancora incerta, per moltissimi.
E’ l’età in cui si inizia a realizzare qualcosa, ma il sospetto è che oggi, l’età della Ragione e soprattutto della Realizzazione, vada tra i Trentacinque e i Quarantacinque.
Sta di fatto che Irina Sanpiter allora fosse poco meno che una venticinquenne, e questo fa pensare. Chi, oggi, a quell’età avrebbe già almeno un paio di figli, al di là dell’avere un marito così?
Nessuno.
Invecchiata ad hoc o meno, Irina Sanpiter è la mamma di Due bambini fotocopia di un padre perfettamente torinese, allineato allo stereotipo del quadro dirigenziale che allora non si usava definire quadro, ma direttore di qualcosa, ed è la prima donna, nella storia del Cinema Italiano, a lasciare marito e figli per andare con un musicista playboy, che però si innamora veramente di lei.
Oggi, il musicista sarebbe uno stalker. Lei sarebbe una madre calcolatrice, forse peggiore del marito logorroico nel contare i centesimi da sottrargli, per quelli che ancora vengono definiti alimenti, e che di fatto sono quasi sempre un furto.
Insomma, l’Italia di oggi non è certamente quella di allora. Le autostrade sono raddoppiate, i partiti sono in crisi d’identità perenne, gli apprezzamenti diventano molestie in un secondo, e a discrezione di chi riceve, ma soprattutto è cambiato il ruolo della donna.
Nel film, Irina Sanpiter interpreta Magda, come tutti gli italiani sanno, o quasi, e rispecchia l’archetipo della moglie schiava, almeno sul piano morale. Furio, il personaggio interpretato da Carlo Verdone e riproposto più volte nel corso degli anni, con nomi e professioni diverse, dice di adorarla ma in realtà la comanda, con la falsità tipicamente sabauda, secondo stereotipo del piemontese falso e cortese, virus che si contrae anche quando si viene da Roma o da qualsiasi altra parte d’Italia, perchè emesso chiaramente dai fumi di Mirafiori.
Magda è la donna che se ne va, per trovare una nuova vita al fianco di un personaggio totalmente diverso, e lo fa senza dare spiegazioni, all’improvviso.
La sua fuga è figlia di una svolta nel costume, avvenuta nel 1978, in un quadro sociologico molto ampio e anche molto pilotato, detto Riflusso e già citato poc’anzi.
In questo contesto, si è dato il culmine, il punto più alto ma anche il punto finale, a un decennio difficile e di rivoluzioni, di lotte e soprattutto di stragi.
L’Italia non ce la faceva più, e anche Magda. E se ne è andata, verso un futuro migliore, sicuramente più libero.
Ora anche lei non c’è più, come non ci sono più gli anni Settanta e come stanno lottando duramente gli anni Ottanta, per rimanere in qualche modo legati a noi.
Non c’è più quel cinema, non c’è più un solo punto in comune con tutto ciò che era in quel film.
Tutto cambia. 
Tutto è un viaggio, e Bianco Rosso e Verdone parla di un’Italia che viaggia, come sempre a caso, ma aiutata dalla fortuna, dai propri mali e dai suoi credo duri a morire.
Enzo Bollani | FormaSostanza
Milano, 5 febbraio 2018
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