Molto più di una semplice cartolina.
“Chiamami col tuo nome” è un film di cui si è detto molto, ma non abbastanza.
L’argomento è un tabù, ancora oggi, nell’Italia e nel Mondo del 2018, nonostante i carri di carnevale che si susseguono ormai da un ventennio, e che hanno perso spinta, perché esagerazione di una condizione che non è sicuramente una scelta, ancora meno una patologia e che è vissuta da molti in silenzio, o messa a tacere attraverso matrimoni.
Matrimoni con figli naturali, si intende.
Non si parla di matrimoni tra persone dello stesso sesso e nemmeno di figli da adottare, in questo articolo e in questa sede, ma di un elemento chiave del film.
Circa la regia, di Luca Guadagnino, ruolo fondamentale è dato dalla presenza di una città che si è vista quasi mai: Crema.
Alessandro D’Alatri, nel 2005, aveva scelto Cremona per ambientare “La Febbre”, con un Fabio Volo calato nei panni di un se stesso, se non fosse stato famoso, o più probabilmente di uno dei tanti giovani padani, che detto così sembra leghista, ma non è intenzione, e nemmeno sfondo.
Crema è un luogo fin qui rimasto in ombra, all’ombra della stessa Cremona, ed è anche molto ironico come destino, perché Crema è una realtà molto diversa da quella della città che dovrebbe esserne la versione Big, o Formato Famiglia.
La scelta della regia, nell’ambientare il film in un luogo molto diverso da quello del libro, è una delle caratteristiche che rendono questo film un capolavoro.
In Liguria, in un qualsiasi luogo che non fosse la sventurata Vado Ligure, distrutta dallo scempio industriale degli anni Sessanta e dall’abusivismo, il rischio cartolina sarebbe stato altissimo.
Crema no, perché si distingue, ed è un luogo fa scoprire.
Come in ogni parte d’Italia, ci sono molti luoghi del Nord ricchi di bellezze che attendono solo di essere vissute, e tra i tanti temi toccati dal film, in cui l’amore omosessuale è parte di un quadro molto esteso, perché non è una pellicola gay e perché è il primo film ad approfondire un argomento sul quale si tende a voler fin troppo passare sopra o di sbieco, nel più tangenziale o tangenziale esterno dei modi.
Il merito dei premi che sicuramente vincerà va in larga parte a James Ivory, al suo modo di adattare il libro di André Aciman e alla qualità eccellente della sceneggiatura, interpretata da attori poco comuni, come Timothée Chalamet e Armie Hammer.
La rinuncia, da parte di Shia LaBeouf, di ricoprire un ruolo da protagonista rappresenta una fortuna, perché troppo chiacchierato, fuori dalle scene, e per nulla adatto a un film di questa qualità.
Enzo Bollani | FormaSostanza
Rosarno, 9 febbraio 2018.