La Muta e la Bestia. L’ultima edizione degli Oscar ha premiato meno delle attese (ben 13 le nomination) La Forma dell’acqua, ultimo lavoro di Guillermo del Toro. Sono state 4 le statuette portate a casa, oltre ai 2 Golden Globes, i 3 BAFTA e il Leone d’Oro vinto al Festival di Venezia.
Come spesso accade, piovono premi e non polpette come dovuto ringraziamento a chi riesce a fermare le lancette del tempo. Cosi è stato nel caso di La Forma dell’acqua, favola che non ha collocazione geografica o temporale. Gli Stati Uniti ai tempi della Guerra Fredda la cornice dell’ultimo lavoro di Del Toro, in realtà posizionato al centro dell’anima.
La storia ruota attorno ad Elisa, muta impiegata delle pulizie di un laboratorio scientifico, e la scoperta di un mostro introdotto all’interno del laboratorio, divenuto presto oggetto conteso tra gli Usa e la Russia, in un intreccio di spionaggio e agenti sotto copertura.
Elisa trova nel mostro il tassello mancante del proprio mondo silenzioso. La comunicabilità subacquea del mondo sommerso, invisibile, ‘altro’. La Forma dell’acqua è un film sulle differenze e la nostra capacità di comprenderle almeno, quando non si riesce ad accettarle.
Elisa, l’anziano amico Giles, il colonnello Strickland magistralmente interpretato da Michael Shannon. E’ uno ‘sfregamento’ di esistenze irrisolte, in balia come sulle onde di un mare mosso.
Con La Forma dell’acqua Del Toro fa (e si fa) un regalo, omaggio al cinema e tutto quello che la settima arte rappresenta. Numerose ed evidenti le citazioni: dall’anfibio misterioso ispirato a quello de Il mostro della laguna nera, a La Bella e la Bestia, passando per i film di Fred Astaire e Ginger Rogers.
E’ un traguardo di consapevolezza, simile (ma al contempo diversa) a quanto fatto da Martin Scorsese con Hugo Cabret. E’ un amore totalizzante, senza barriere o sfumature, che sarebbe banale etichettare o provare a recitare. Un amore senza forma e che (essendo tale) “si percepisce ovunque”.
Pasquale Romano | FormaSostanza
Milano, 06 aprile 2018.