Kubrick, 2001 e Eyes Wide Shut: nient’altro che una Sciarada

Dal dizionario etimologico: Sciarada, dal francese Charade, voce venuta in uso nel secolo XVIII per indicare una sorta d’enigma in cui la parola che si dà a indovinare è divisa in due o più parole, che si appellano primosecondo e ultimo e si fan conoscere per le loro definizioni: e la parola da indovinare si chiama intiero. Oltre a questa si sono fatte altre ipotesi, tale quella dell’Hoffman dall’a. fr. Charaude, Charaute incantesimo (b. lat. Charactà) onde scende il senso di cosa avvolta nell’oscurità, enigma.

 

Una sciarada lunga trent’anni.

“Ha morbosamente paura di rivelare i suoi segreti, il principale dei quali potrebbe essere che non ne ha […] Vuole che non gli sfugga nulla. E questo desiderio lo rende prigioniero delle sue paure, senza permettergli di dominarle […] Attraverso la scrupolosità delle sue verifiche e la cura con cui si accerta di non poter essere sorpreso dal caso, si trasforma in un Damocle senza spada, in un uomo minacciato da una minaccia inesistente”.

Questa descrizione, perfetta per il Bill Harford di EWS, in realtà si riferisce allo stesso Kubrick, secondo il giudizio dello sceneggiatore Frederic Raphael. Il ‘desiderio’, in definitiva, è il sentimento che smuove il regista, in 2001 ed EWS ma anche in tutti i suoi altri film. Il desiderio di conoscenza, detto in poche parole.

Cercare di aprire un varco di luce nel buio che ha preceduto la nascita della razza umana in questo universo, e provare a capire come essa si sia evoluta. Il rapporto tra l’essere umano e le (possibili) altre forme di vita e infine il desiderio di conoscenza non può non includere l’aldilà, l’oscurità per eccellenza, primaria fonte di incertezza per qualunque essere umano.

Questo desiderio, del tutto spirituale\intellettuale, trova il contrappunto in EWS.  Il desiderio, anche in questo caso di conoscenza, vuole però essere toccato con mano, esprimere la sua carnalità.

La donna (figura pressoché assente in 2001)  assume in EWS un ruolo centrale, quale fulcro di tutte le pulsioni maschili, epicentro di una realtà (o di una pseudo-realtà onirica) che conosce, al contrario di quanto mostrato nell’odissea spaziale, un involuzione.

L’osso lanciato in cielo dalla scimmia, l’intelligenza artificiale di HAL, creata dall’uomo e forse superiore a esso, l’astronauta Bowman che indica il monolito prima di morire, il feto astrale, super-uomo giunto all’ultimo stadio di evoluzione: tutto svanito.

Un universo infinito di conoscenza dileguato in una NY stanca, capace di offrire solo perdizione e inganno. EWS per Kubrick è l’ultima occasione (quella perfetta) per far concludere, dopo un viaggio durato trent’anni, l’Odissea Spaziale. Giusto il tempo di un ultimo valzer, celato dietro maschere che provano a nascondere uno sguardo triste, perché consapevole della condizione umana.

 

“Immagino che si riduca tutto a una tremenda consapevolezza della propria mortalità. La nostra capacità (non comune ad altri animali) di concettualizzare la nostra fine ci crea dentro terribili tensioni psichiche; che ci piaccia o meno ammetterlo, ogni uomo ha in petto la paura di quella consapevolezza basilare, che come un furetto gli rosicchia l’Io e il senso della vita. Per certi versi è una fortuna che il corpo, e la soddisfazione dei suoi bisogni e delle sue funzioni, giochi un ruolo cosi essenziale nella nostra vita; quell’involucro fisico crea un paracolpi tra noi e la consapevolezza sconvolgente che solo pochi anni di esistenza separano la nascita dalla morte. Se l’uomo si soffermasse davvero a pensare alla propria fine imminente e alla propria agghiacciante futilità e solitudine nel cosmo, di sicuro impazzirebbe o soccomberebbe a un annichilente senso di inutilità.

Le religioni del mondo, per quanto possano essere di ristrette vedute, hanno effettivamente fornito una specie di consolazione a questo grande dolore; ma ora che il clero proclama la morte di Dio e, per citare di nuovo Arnold, ‘il mare della fede si ritira, nel mondo, con un lungo ruggito che arretra al respiro del vento e della notte’ l’uomo non ha più stampelle a cui appoggiarsi. Non ha più speranze, per quanto irrazionali, di dare uno scopo alla propria esistenza”.

Parole di Stanley Kubrick, risalenti a un’intervista del 1968. In quelle parole ritroviamo tutto il senso di 2001 e EWS, quest’ultimo come se il regista l’avesse già girato, cosa che invece si sarebbe verificata trent’anni dopo. Impressione di un qualcosa che non c’era (o non c’è), intreccio di due enigmi avvolti nell’oscurità. Nient’altro che una sciarada.

 

Pasquale Romano | FormaSostanza
Firenze, 13 aprile 2018.

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