37 anni senza John Belushi.

Va bene essere incasinati. La gente non deve necessariamente essere perfetta. Non deve essere intelligentissima. Non deve seguire le regole. Può divertirsi“:

questa è la filosofia, in sintesi, di John Belushi, uno di quei comici destinati a consegnarsi all’eternità, a imprimersi nell’immaginario collettivo di tutto il Mondo occidentale, soprattutto grazie alla pellicola che lo renderà riconoscibile, per sempre: “The Blues Brothers“.

Così imponente, in tutti i sensi, da oscurare quasi il fratello, in senso artistico e di amicizia, cosa rara a Hollywood come a Cinecittà: Dan Aykroyd.

 

Parlare dei Blues Brothers fa pensare a Belushi, immediatamente, perché la verve comica innata, mai forzata, il suo ruolo da improvvisatore e situazionista, coadiuvato anche da una cultura fuori dal comune, rispetto alla media statunitense, lo porterà a costruire imitazioni di personaggi come Ghandi o Mussolini, oltre a fare quello che sanno fare tutti quelli bravi: prendere di mira i tic, i tic tac e i vizi, le virtù vere e false, della nazione in cui si vive.

Nel 1975, quando andrà a ricoprire quello che si rivelerà un ruolo di primo piano, con Dan Aykroyd, al Saturday Night, il Mondo era già inconsapevolmente globalizzato, e anche parecchio.

Se gli sketch venissero tradotti, in Italia, il più delle volte risulterebbero persino attuali, come si conviene ai classici.

Poco è cambiato, tecnologie a parte, e spesso tempi televisivi, ma quello che è cambiato, non sapremo mai quanto, è il cinema comico americano, quindi globale.

Senza Belushi, un film come Ghostbusters perde molto mordente, e lo si può dire a scatola chiusa, basandosi solo su un’ipotesi.

Per contro, la sua dipartita ha fatto emergere un attore come Eddie Murphy, già destinato a Beverly Hills Cop, ma rimasto scolpito nella memoria di tutti come coprotagonista di “Una poltrona per Due”, immancabile a Natale.

Cosa sarebbe stata, “Una poltrona per Due“, senza un elemento fondamentale, come la contrapposizione tra bianco e nero?

A 37 anni dalla tragica autodistruzione di John Belushi, possiamo solo salvaguardare quel capolavoro involontario che sarà, sempre, “The Blues Brothers”, con il bianco e il nero della Dodge Monaco della polizia, le musiche nere e soul, l’atmosfera di un decennio che finiva, per fare largo all’edonismo reaganiano.

 

Da sottolineare, in “The Blues Brothers”, la presenza di Aretha Franklin.

Più Blues di così, non è più possibile.

Enzo Bollani | Milano, 5 marzo 2019.

 

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