L’arroganza non paga. Di Battista querelato per diffamazioni. La TAV al centro.

L’arroganza non ha mai pagato, ma il fulcro della questione non è il modo di porsi, di fronte a un conduttore che si difende come può, attaccato su più fronti, da mesi: il tema sul quale si fonda la querela, da parte dell’Unione industriale di Torino, di Ance Piemonte e di Confindustria, è l’attacco, basato su accuse prive di fondamento, portato avanti dall’esponente M5S, che ancora non è chiaro quale ruolo rivesta all’interno dell’ex movimento, durante la sua ospitata, in diretta a “Che tempo che fa”.

Di Battista, infatti, ha parlato di “tangenti da restituire” per la TAV e di “infiltrazioni della criminalità organizzata”, oltre a cogliere l’occasione per attaccare Fabio Fazio, già costantemente messo in croce da Lega e pentastellati.
L’ospitata, del 20 gennaio 2019, era ancora precedente alla bagarre alla quale stiamo assistendo, tra Salvini e i pentastellati, sul tema della TAV.
Dibba, di ritorno da una vita in vacanza, a quanto pare finanziata da “Il Fatto Quotidiano”, è tornato in gran spolvero, anche se ancora non è chiaro in quale ruolo, ma con la allure che da sempre lo contraddistingue: dividere, sparigliare, attaccare senza avere a disposizione prove concrete.

Ora, Confindustria, l’Unione Industriali di Torino e Ance Piemonte (ma la lista potrebbe allargarsi, perché le parti lese sarebbero molte di più) chiedono un intervento della magistratura, testualmente “volto alla tutela della loro reputazione e al riconoscimento della valenza diffamatoria delle affermazioni di Di Battista”.

 

Dibba, durante la diretta, ammise comunque di non avere prove, eccettuando un ricordo, molto chiaro: “ricordo quando due esponenti della ‘ndragheta furono intercettati e dissero ‘adesso ci tocca fondare un comitato Sì tav’”.

Ammettere di non avere prove, per poi esporne una, oltretutto non è molto coerente.

 

Anche perché, una manciata di minuti dopo, rincarò: “Il problema del Tav, per qualcuno, non è se si farà o meno. Il problema è che quel qualcuno si è già steccato qualche tangente e, qualora l’opera dovesse essere bloccata, sarà costretto a mettersi le mani in tasca”.

Quali siano le prove di tali tangenti, non è dato sapere, ma se prima si ammette di non avere prove, per poi tirare fuori prove, il risultato è quello di una figura becera, davanti agli italiani.
Soprattutto, al di là delle accuse molto gravi rivolte a chi dovrebbe effettuare i lavori per la TAV, per il modo di presentarsi in prima serata, in una trasmissione molto seguita, e di trattare il padrone di casa, che tutti vorrebbero far fuori: Fabio Fazio.
E se le tangenti fossero diventate, secondo la sua visione, “consulenze”, allora bisognerà dimostrare quanto sia vero quello che ha detto, o quanto sia falso e tendenzioso, ancora una volta indirizzato a bloccare la crescita del Paese, scambiando una grande opera per un semplice collegamento tra Torino e Lione.

Tornando al modus operandi dei pentastellati, le cui famiglie non operano spesso in modo cristallino, con dipendenti in nero e altre stranezze, in nome di un’onestà che sarebbe dovuta tornare di moda, è curioso citare un’altra affermazione del Dibba:

“La corruzione oggi si chiama consulenza. Le bustarelle non sono più di moda”.

 

Beh, con questi presupposti, c’è da sperare che i pentastellati passino di moda, e in tempi molto rapidi, anziché parlare di ponti da trasformare in ristoranti e sale giochi, anziché scambiare un tratto di collegamento fondamentale per un pretesto per fare gitarelle fuori porta, a Lione.

Sarebbe ora di uscire da questi bagni di ignoranza.

Enzo Bollani | Milano, 9 febbraio 2019

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